Angelo Raffaele Turetta e Daniele Mencarelli con gli studenti del corso 2023/24
Ogni volta che arrivi alla Scuola Jack London per la tua docenza sei concentrato su quel che speri di sollecitare nelle ragazze e nei ragazzi che seguiranno il corso, ma alla fine ti ritrovi sempre a pensare che nella splendida cornice della sede delle lezioni quello che si genera è un vero e proprio laboratorio di idee, di linguaggi, di racconto di realtà. Ed è sempre molto più di quello che hai lasciato quello che porti via. In fondo è bello far parte di questo gruppo perché non ti sembra mai di fare solo la tua parte, ma di essere in continuità con chi è venuto prima di te e chi verrà dopo, nella visione che questa scuola condivide con docenti e studenti.
Insegnare è la mia professione almeno dal 2006, ma è da tanto tempo che l'istituzione universitaria non offre, almeno a me, un contesto adeguato a tentare di produrre senso insieme, oltre che a trasmettere quello che, in tanti anni ormai di letture e scritture, ho immagazzinato. Tante volte mi sono chiesto, negli ultimi anni, se sono io che non funziono più - scarsa disponibilità umana, scarsa pieghevolezza alle esigenze altrui, scarso comprendonio del prossimo in generale - o se è il contesto che ha smesso di funzionare. A questa domanda non ho ancora una risposta definitiva e probabilmente, come sempre in questi casi, sono vere entrambe le cose; ma l'esperienza in un contesto completamente diverso, sotto i punti di vista, quale si è rivelata la scuola Jack London mi suggerisce che qualcosa da dare forse ce l'ho ancora: perché di quest'esperienza, a mia volta, qualcosa credo di aver trattenuto.
Non è semplice fermarsi e osservare ciò che ci circonda con l’occhio curioso e accogliente, così come non è semplice sedersi intorno ad un tavolo e discutere in gruppo il proprio lavoro – mantenendosi abbastanza vicinə da sentirne il significato, ma abbastanza lontanə da mantenere un occhio distaccato e critico. In entrambi i casi l’elemento che è venuto alla luce con più forza è stato la capacità dellə ragazzə di mettersi in gioco e accogliere le sfide lanciate con entusiasmo e determinazione, a prescindere dal risultato finale – ponendo una grande attenzione al processo emotivo che porta alla realizzazione delle immagini.
Penso che la grande sinergia tra lə studentə sia frutto anche della loro convivenza nello stesso spazio durante il corso, un elemento non usuale e sicuramente determinante per creare un ambiente creativo e di dialogo costante, dentro e fuori dalle lezioni. Sono molto contenta di aver fatto parte del mondo della scuola Jack London, spero di rivederci presto!
Quando ero una studentessa di fotografia, nel corso degli anni, ho sempre apprezzato gli insegnanti che parlavano appassionatamente della materia, condividendo generosamente le loro conoscenze. Devo molto a chi mi ha criticato o motivato, così come a chi mi ha fatto conoscere nuove prospettive, o a chi mi ha guidato al cuore della professione giornalistica.
Sono grata che nonostante la mia giovane età, mi siano state date l'occasione e la fiducia dai fondatori Giovanni e Angelo di essere dall'altra parte della cattedra. La totale libertà sulla gestione delle lezioni, i bellissimi confronti dentro e fuori dalla classe e un ambiente familiare sono stati la combinazione che mi porta a dire che spero di aver dato tanto quanto ho ricevuto da questa esperienza!
È raro ma succede. E alla Jack London di Fermo/Torre di Palme succede. C’è un gruppo di ragazzi, che hanno occhi attenti che hanno orecchie aperte, un gruppo di giovani (ma non solo) che sono arrivati qui perché hanno saputo che dentro la magic box dell’aula d Torre di Palmei si passano o si discutono o si mettono in comune gli strumenti per leggere, interpretare, raccontare il mondo.
Per lo più si avvertono interessi che hanno a che fare con la fotografia, con una fotografia che non riproduce ma scava. Ne hanno ben donde perché a Torre di Palme passano figure fondamentali della fotografia, e - last but not least - si avverte l’eredità di un grande maestro come Mario Dondero che a Fermo ha vissuto.
La fotografia, ma non solo. Chi affronta la bella lunga esperienza collettiva della Scuola, sa che qui si parla anche di scrittura. Io ho portato i miei quarant’anni di esperienza nel mondo editoriale e ho sentito lo scatto della curiosità, un mettersi in ascolto che scavalca le ambizioni cucinate dalle molte "scuole di scrittura” fiorite in tutto il territorio nazionale. Sarà che la parola chiave alla Jack London è reportage, ma qui l’attenzione è tutta concentrata su come suonano le parole quando entrano in contatto con il crepitio dell’esistenza, con l’ebollire del mondo.
Alla Jack London ci sono lo spazio, la concentrazione, la dedizione per crescere davvero nel segno della professionalità e dell’immaginazione. Mi sono messo a raccontare il Congo di Joseph Conrad e di David van Reybrouck, e ho avvertito che stavamo attraversando tutti un continente, una storia di trasformazioni e devastazioni che tutti ci tocca. Farlo insieme è stata una avventura.
Un’avventura che auguro a chi verrà, sull’onda della curiosità e del coraggio.
La gioventù più bella deve averlo un posto dove stare. E alla Jack London lo riesce a trovare. Nella pace di un borgo antico dove il tempo si ferma e finalmente si riapre lo spazio per pensare, si costruiscono sentieri nuovi, intrecci di curiosità e mestiere. Si parla, si ragiona, si studia e si crea in simbiosi con il mare, lì di fronte. È davvero un percorso ricco per i ragazzi e per chi li incontra, magari come me chiamato a spiegare cosa è il racconto, di quanti pezzi è fatto, come si costruisce, dove lo si cerca, come lo si organizza, a chi va messo a disposizione. Sono partita senza sapere, sono tornata piena di speranza e felice delle parole giovani, luminose, dense di futuro e intelligenza. Qui si lascia spazio alla fantasia di ciascuno. E qui, con gioia, si impara a lavorare.
Alla Scuola Jack London ho vissuto giornate meravigliose, incontrando bellissime persone, Giovanni, Alessandra, Angelo e gli studenti che amo incontrare nei miei workshop: giovani colti, traboccanti di passioni, che hanno avuto la possibilità di potersi confrontare con varie discipline importantissime per quella che sarà la loro scelta creativa.
Quello che fa la differenza, alla Jack London, è il contesto, le aspettative e le priorità’.
Mi occupo di fotografia da molti anni, ho tenuto corsi un pò ovunque, in scuole di fotografia, di specializzazione, di ultra specializzazione, dove tutto è un pò un simposio, di argomenti complicati e tecnici e raramente si riesce ad avere uno scambio, un confronto sulle proprie visioni.
E infatti, spesso sono stato deluso, dalle domande complicate ma inutili che disilludevano le mie aspettative, di appassionare tutti, di stupire, di fare venire voglia di fotografare.
Qui è tutto diverso.
Sarà perché non è (solo) una scuola di fotografia, per il gruppo super selezionato, di docenti e di allievi che ogni anno è diverso e più bello.
Per il luogo, il cibo, il mare.
Non lo so, ma l’atmosfera è di profonda, sincera curiosità, per la fotografia, per il racconto, per imparare il più possibile dalle esperienze degli altri.
Sono stati 3 giorni intensi, di spiegazioni, di aneddoti, scambi e discussioni.
Hanno tutti voglia di imparare, lavorare, viaggiare ed è bello condividere queste passioni, questi entusiasmi.
Sono rimasto in contatto con gli allievi dell’anno scorso per mesi, con alcuni ci scriviamo ancora, mi raccontano quello che stanno facendo, mi chiedono un consiglio per quello che vorrebbero fare, e per me è bellissimo essere un piccolo riferimento, il promemoria di quella passione.
Un luogo magico, soprattutto in inverno, che invita al pensiero. Una piccola Agorà davanti al mare dove ritrovarsi e confrontarsi con generazioni più giovani, fresche e appassionate. Ringrazio Angelo Ferracuti e con lui l’instancabile Alessandra per avermi dato l’opportunità di trascorrere due piacevoli giornate di dialogo e scrittura con la loro “banda” di allievi, sempre attenti e pronti ad assorbire i consigli di chi racconta cronaca e storie da tempo. L’esperienza non si insegna ma si può cercare di passare a questi ragazzi la curiosità di diventare testimoni, più che protagonisti, il piacere di elidere ciò che non serve in un articolo o la gioia di trovare il giusto incastro di parole utili al testo. Il coinvolgimento con gli alunni è stato l’esperienza più gratificante, che ha insegnato molto anche a me.
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