21 marzo 2022
Per tutta la vita, fino a 50 anni, è stato in acqua. Nel mare aperto o in piscina, dove ha insegnato a nuotare a tanti, anche a quegli immigrati che erano arrivati via mare, vedendolo per la prima volta.
Poi dell’acqua, e soprattutto del cloro e dei disinfettanti della piscina non ne ha potuto più. É salito in collina, Massimo, e ha bussato alla porta di Aurora.
E lei l’ha accolto, iniziando una storia di lavoro e di amicizia che dura da 15 anni.
Massimo è un bracciante agricolo e Aurora è un’azienda nata negli anni 70, nel sud delle Marche, a Offida, grazie a 5 ragazzi che progressivamente hanno lasciato i loro lavori per dedicarsi a un progetto che rispecchiasse i loro ideali di vita comune e rispetto dell’ambiente. Essere biologici è stato il loro punto di partenza molto prima che arrivassero certificati e attestati a sancire un modo di lavorare la terra in maniera sostenibile.
Katiuscia detta Katia invece è di Roma, fa la cuoca da 25 anni, spesso nei centri sociali. L’ho conosciuta a Cupramontana, nella zona di produzione del Verdicchio, mentre era intenta a preparare i pranzi per i braccianti, impegnati con la vendemmia dell’azienda agricola San Michele. Sorridente, di piccola statura ma solida si muove sicura nell’ampia cucina, nel centro della casa di Daniela e Alessandro, titolari dell’azienda. C’è un andirivieni di amici e raccoglitori d’uva che scambiano battute con Katia che imperterrita sta al gioco mentre prepara il cibo con accanto l’immancabile bottiglia di birra a cui attinge di tanto in tanto.
Sia Katia che Massimo sono due dei protagonisti della vendemmia che chiamo sociale per le modalità con cui è svolta, per il percorso personale dei viticoltori, fatto di impegno politico e sociale maturato anche all’estero, e per la coerenza tra le loro azioni e principi.
A differenza di tanti altri produttori dediti al culto del vino come status symbol, come elemento di stile italiano, e come attrattore di capitali anche stranieri, San Michele e Aurora mantengono vivo lo spirito contadino, dove tutti sono parte della stessa comunità sebbene con ruoli diversi. L’imprenditore agricolo e il bracciante mangiano insieme durante i pranzi della vendemmia, letteralmente, nello stesso piatto.
Entrambi, inoltre, possono permettersi di comprare i vini che producono, cosa non scontata dato che in molte aziende vitivinicole italiane la politica dei prezzi e di marketing posiziona il vino spesso a un livello non alla portata di tutti.
È difficile sentir parlare in cantine come Aurora e San Michele di termini alla moda come branding, wine hospitality, ecc. Si preferiscono termini più antichi come coerenza e accoglienza ovvero prendersi il tempo per conoscerti e stabilire un rapporto evitando di ridurre la tua visita alla sola compravendita di bottiglie di vino.
Più che social sono sociali nella loro apertura verso gli altri, nel prendersi cura dei luoghi non insudiciando i suoli con i pesticidi e nel retribuire il giusto i propri dipendenti inclusi gli stagionali che vengono a vendemmiare pochi giorni l’anno. Perfetti? Non so ma di certo ispirano e confortano con il loro modo di fare impresa.
La loro vendemmia è sociale; coinvolge non solo i braccianti ma anche amici e conoscenti che vengono ogni anno a raccogliere l’uva. Non tutti sono specializzati ma imparano in fretta. Forse la loro presenza solleverebbe i dubbi dei tanti consulenti enologi, alcuni delle vere star, che imperversano in tutta Italia. Il consulente affermato preferisce avere tutto sotto controllo e affidarsi a squadre esterne per la vendemmia è spesso la norma. Le squadre esterne, formate prevalentemente da stranieri, si spostano da azienda ad azienda tanto che spesso non hanno idea di dove sono o di che cosa vendemmiano.
Per loro non c’è il pranzo, ogni giorno, in cantina, prima di riprendere il lavoro nel primo pomeriggio. Ma una sosta, sotto gli alberi a consumare il pasto portato da casa per poi riprendere velocemente il lavoro. La giornata è programmata in base ai numeri; quelli dei filari o degli ettari da vendemmiare o quello dei camion da riempire con l’uva, da portare in cantina. Le squadre lavorano in silenzio e velocemente, il tempo è poco per scambiare due parole o delle battute mentre si lavora.
Chi fa la vendemmia da San Michele e Aurora sa che non è una passeggiata ma c’è spazio per parlare mentre si è chini sulla pianta a tagliare i grappoli, ha inoltre un legame con la cantina e il luogo, si sente parte di un gruppo che per quei giorni vive insieme. La squadra esterna spesso è formata da stranieri che fuggono da qualcosa; una patria inospitale o condizioni economiche difficili. Coloro che vendemmiano da Aurora e San Michele lo fanno invece per trovare qualcosa, nuove amicizie, l’aria aperta, la vita di comunità, la fatica fisica al posto di quella mentale.
Le storie e le esperienze sono le più diverse. C’è chi ha cambiato la propria vita come Sergio, il trattorista di San Michele, bergamasco, otto anni fa ha lasciato il suo impiego dalla Feltrinelli per diventare agricoltore nelle Marche. O c’è Federico, musicista che da quattro anni fa la vendemmia sempre da San Michele. Si ritempra, fa nuove amicizie e libera la mente con la stanchezza fisica. Oppure Roberto che arriva da Fano con la sua vespa color lavanda, vive in Irlanda ma volentieri ritorna in Italia per fare la stagione e rivedere i suoi amici. Daniela e Alessandro ospitano i raccoglitori nella loro casa, e se manca dello spazio, nel giardino vengono piantate le tende o gonfiati i materassini sulle scale, in sala e dove c’è ancora posto.
La bella casa circondata dai vigneti diventa un allegro dormitorio dove non è solo il lavoro ad essere condiviso ma le storie, i progetti, i sogni magari con accanto un bicchiere di Passolento, uno dei vini più conosciuti di San Michele.
Tra il gruppo mi colpisce Margherita, il suo aspetto ricorda un dipinto dei preraffaelliti; lunghi capelli ondulati, il viso diafano, gli occhi mobili e lo sfondo verde delle vite mi ricordano i dipinti di questa scuola di tardo ottocento. Le similitudini finiscono qui, Margherita ha modi non angelicati ma quelli di una bracciante esperta, guida il gruppo in vigna, dà consigli e corregge. La passione per l’agricoltura è nata qualche anno fa, in Toscana, con gli olivi. Da lì poi alle vigne. L’agricoltura è diventata una scelta di vita, coronata dall’acquisto di un pezzo di terra e una casa colonica da restaurare.
C’è anche chi viene a fare la vendemmia con lo scopo di sentirsi a posto, finalmente tra i suoi simili, nel luogo del cuore. É Claudio che ho conosciuto a Offida presso la Cantina Aurora. Da poco pensionato ha la consapevolezza di aver trascorso la sua vita facendo un lavoro che non era il suo, in una città che non farebbe fatica a lasciare. L’impiego presso la pubblica amministrazione, la vita in città e gli impegni famigliari non gli hanno permesso e non lo fanno tutt’ora, di lasciarsi tutto alle spalle.
Gli occhi di Claudio si velano nel raccontarmi il suo sogno; acquistare un piccolo rudere attaccato alla cantina. Insieme andiamo a vederlo. Si trova a strapiombo sui vigneti, con un proprio giardino. È in vendita e potrebbe diventare splendido con un restauro. Lo vorrebbe per sé. Ardentemente. Ma ci sono una serie di ragionevoli motivi per i quali è meglio non acquistare un rudere così lontano da casa e avversato da buona parte della famiglia. E restiamo lì, davanti al cancello del piccolo rudere, a immaginarlo restaurato. A voce alta elenchiamo le piante che si potrebbero piantare nel giardino, controlliamo l’esposizione della casa che beneficia del sole fino a sera e tanto altro. Come se il progetto fosse prossimo ad attuarsi. E siccome non lo è, la malinconia ci sale addosso come l’alta marea.
La spazza via il rumore del trattore che si avvicina; alla guida c’è Pierandrea, giovane, bello con la sua bandana in testa che fa pensare al vino più famoso di Aurora, il Barricadiero. Non c’è malinconia in lui, Pierandrea è in pace con sé stesso; lui ha scelto senza esitazioni di abbandonare il posto fisso in un calzaturificio di lusso della zona. L’agricoltura gli è sempre piaciuta, e con la morte del nonno ha ereditato della terra che coltiva. È arrivato da Aurora un anno fa per fare il bracciante. Federico uno dei proprietari è stato il suo maestro e colui che lo ha fatto appassionare. Pierandrea afferma che si lavora la terra o per disperazione o per passione. Lui è fortunato perché la lavora per passione e ha trovato in Aurora un luogo dove la sua passione può fiorire.
Arriva l’ora di pranzo, dove anche da Aurora ci si siede tutti insieme per mangiare. In cucina ci si alterna, oggi è il turno di un amico, Claudio simpatico e caciarone che aiuta Giulia, silenziosa e precisa. La grande padella con la pasta viene sistemata al centro del tavolo, c’è Franco che fa le parti per tutti. I piatti volteggiano da destra a sinistra per essere riempiti. C’è fame dopo le ore passate a raccogliere l’uva. All’inizio si parla poco, si mangia ma poi si comincia a chiacchierare, a prendersi in giro, a raccontare storie. Si versa il vino, si beve dalle bottiglie aperte il giorno precedente. Si aprono anche delle bottiglie di vino georgiano portato da Claudio. Con noi anche Agnese figlia di Enrico, uno dei soci. Da diversi anni ha lasciato Offida per fare l’università seguita da una tappa importante a Milano per studiare alla Civica Scuola di Paolo Grassi e poi ulteriore formazione a Bologna dove vive. È ritornata ad Offida per un mese, per la vendemmia. Ripartirà come ogni anno ma sa che Aurora merita di aver un futuro. E lei ci sarà.
Finito il pranzo e le chiacchiere, ci si disperde per un piccolo riposo, chi sull’amaca, chi su una vecchia poltrona, chi sulla panca esterna prima di riprendere il lavoro questa volta in cantina. Muhammed è uno di quelli che non dorme, è il suo turno di lavare i piatti del pranzo. Viene dal Gambia, non beve vino ma lo conosce attraverso i profumi e i colori.
È stato il mare che lo ha portato dall’Africa fino a questo piccolo paesino collinare, Offida, una delle zone vitivinicole più vocate d’Italia (anche se pochi lo sanno) a pochi km dalla costa. È stato il suo desiderio di imparare a nuotare che gli ha fatto conoscere Massimo con cui ha affrontato e superato la paura del mare aperto, dell’acqua.
E Massimo dopo avergli insegnato a nuotare lo ha portato da Aurora, un anno fa a continuare il lavoro che lui ha iniziato 15 anni fa.
Ilaria Ippoliti, ex studentessa della scuola Jack London
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