Jack London è stato un grande scrittore, un eccellente fotografo, un impareggiabile reporter di guerra, giornalista sportivo, soprattutto di boxe, militante politico radicale e difensore dei diritti dei lavoratori, ma anche e soprattutto un indomito viaggiatore. Tutti elementi, che fanno di lui il prototipo del grande narratore di un’Epoca e una vera e propria leggenda di sempre. A tutto questo si deve aggiungere una vita errabonda e memorabile: pirata di ostriche, operaio, marinaio e cacciatore di foche, partecipò alla corsa all’oro nel Klondike. Ma è anche un uomo simbolo del riscatto sociale, come scrisse nel 1905 in Cos’è la vita per me.
“Il mio posto in questa società era negli abissi, dove la vita offriva solo squallore e sventura, lì, sul fondo, carne e spirito erano ugualmente affamati e tormentati”.
Dei suoi romanzi basterebbe citare alcuni titoli che sono ormai dei classici della letteratura di tutti i tempi: Zanna Bianca, Il richiamo della foresta, Martin Eden, La strada, Il tallone di ferro, così come i grandi reportage de Il popolo dell’abisso o La crociera dello Snark, quando nel 1907 attraversò il Pacifico a bordo di una barca a vela di 43 piedi insieme alla moglie Charmian, raggiungendo le Hawaii, viaggio durante il quale incontrò anche Ernest Darling, “l’uomo natura” a Papeete, Thaiti.
Le foto che scattò le nominò con lungimiranza “documenti umani”, e la sua inseparabile Kodak nutrì reportage indimenticabili, come quelli nella Londra del 1902 tra i derelitti dei bassifondi, o nel corso della guerra Russo-giapponese del 1904, il terremoto di San Francisco del 1906, tra gli altri. Talento di una prolificità impressionante, in soli 40 anni di vita (1876-1916) scrisse 40 libri di narrativa, 7 opere teatrali, 12 libri di saggi e reportage, una infinità di articoli giornalistici, e tra il 1906 e il 1916 scattò oltre dodicimila fotografie. Scrisse di sé e del suo grande vitalismo:
“Preferisco vincere una gara di spruzzi in piscina, o restare in sella a un cavallo che cerca di schizzarmi via da sotto, che scrivere il grande romanzo americano”.
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