21 settembre 2020
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In un intervista apparsa su via Po, supplemento culturale della rivista Conquiste del Lavoro, Angelo Ferracuti spiega perché Jack London è una scuola unica nel suo genere
Aprirà il prossimo 12 ottobre, nelle Marche, la Scuola di letteratura e fotografia “Jack London”, ideata e realizzata dallo scrittore Angelo Ferracuti con il fotografo Giovanni Marrozzini. Di cosa si tratta? Quali obiettivi persegue? A chi è rivolta? A raccontarlo è lo stesso Ferracuti.
Comincio con una piccola provocazione: ecco l’ennesima scuola di scrittura… Ce n’era bisogno?
La Jack London non è un corso di scrittura creativa e neanche un workshop fotografico, di quelli ce ne sono davvero troppi, ha ragione, ma è una scuola vera e propria, principalmente di reportage, ma non solo, unica nel suo genere in Italia. Sì, credo ce ne fosse bisogno, e lo dimostreremo.
In realtà voi parlate di una scuola di letteratura e fotografia: ovvero?
È una scuola per fotografi, per narratori, per reporter, cioè fotogiornalisti, ma anche per chi le storie vuole metterle a disposizione di altre forme di narrazione, come per esempio quella di raccontare i luoghi, i viaggi o le attività umane. Dall’intreccio virtuoso di parole e immagine nascono le fotostorie, qualcosa di novecentesco, di cui però oggi c’è bisogno in un mondo dove tutte queste cose restano in superficie, non vanno in profondità.
Perché avete scelto di intitolarla a Jack London?
Perché Jack London incarna molte cose insieme. È stato un grandissimo romanziere, per adulti e per ragazzi, uno straordinario reporter, un fotografo eccellente, un viaggiatore spericolato. È il prototipo di quello che tutti gli avventuristi come noi vorremmo essere, vecchi e nuovi, attempati e giovanissimi.
Nel “manifesto” della scuola scrivete che il bombardamento di informazioni e immagini a cui siamo sottoposti oggi rende “sempre più arduo rappresentare il nostro tempo”. Tutti (o quasi) sul web si sentono narratori e fotografi… Come si fa, allora, a districarsi in quello che voi chiamate “frastuono quotidiano”?
È quello che cercavo di spiegare prima. Per lasciare un segno, per raccontare con maggiore forza espressiva, non basta solo padroneggiare i linguaggi della scrittura e quelli della fotografia, ma avere tutta una serie di conoscenze in grado di decifrare la complessità. La nostra scuola va in questa direzione intrecciando materie canoniche, ovviamente di fotografia e letteratura, con quelle antropologiche, filosofiche, artistiche, mettendo i ragazzi alla prova nei seminari, nei workshop, ma soprattutto con le 8 borse di lavoro che offriremo loro dopo i due mesi di corso.
Nella nota diffusa alla stampa leggo: “La scuola che insegna il mestiere di raccontare”. Si può davvero imparare a raccontare?
Basta la tecnica per diventare bravi narratori o bravi fotografi? O ci vuole altro? Mi ripeto volentieri. Ovvio che serve la tecnica, ma solo tecnica o troppa tecnica, senza passione, curiosità, conoscenza, produce cose estetizzanti o di maniera. Noi vogliamo insegnare a ciascun allievo a tirar fuori dalla propria personale originalità il meglio. La scuola è a numero chiuso, 20 studenti, la selezione sarà spietata, abbiamo bisogno di persone capaci di mettersi veramente in gioco, di studiare a tempo pieno, di crederci con passione e determinazione. Saranno loro il nostro fiore all’occhiello.
Quindi a chi è rivolta la scuola?
Soprattutto a chi crede che finiti i due mesi di studio e gli stage sul campo, tutta questa messe di conoscenze possa servire per migliorare la propria professionalità, quindi per aver maggiori chances nel mondo del lavoro.
Quale ambito professionale potrebbe aprirsi per chi frequenta un corso come il vostro?
Oggi un buon reporter può intanto lavorare nell’editoria, sia come fotogiornalista o nel settore librario, sul web, ma anche in ambito turistico o aziendale. Le faccio un esempio pratico: siamo stati contattati da una grande agenzia di viaggi internazionale che ha bisogno di formare i propri agenti, i quali hanno viaggiato ma non sono in grado di raccontare quello che hanno visto, le esperienze che hanno fatto. Quindi le possibilità sono molteplici.
Quali materie-discipline verranno insegnate? Quando si terranno le lezioni?
Si va dalla storia del reportage fotografico e sul campo alla storia di viaggio e del giornalismo narrativo nella letteratura, con anche particolare riguardo alla produzione più recente, corsi che abbiamo affidato rispettivamente a Lorenzo Cicconi Massi e Ignacio Maria Coccia, fotografi di Contrasto, e Massimo Raffaeli e Nadia Terranova, il primo critico raffinato e coltissimo del “Venerdì” di Repubblica e la seconda scrittrice “enaudiana” tradotta in molti Paesi. Poi avremo editor di grande livello in entrambi i settori come Renata Ferri di RCS Corriere della Sera; Alberto Rollo, storico editor di Feltrinelli oggi a Mondadori; ma anche le incursioni paesologiche di Franco Arminio; una lezione sul rapporto tra grandi committenti e reporter tenuta da Pier Luigi Celli, ex direttore generale della Rai; e sempre dalla Rai il direttore di Radio3 Marino Sibaldi; poi Michela Fusaschi, antropologa; Christian Caliandro, storico dell’arte; Marco Filoni, filosofo. Le lezioni si terranno quasi tutti i giorni, dal 12 ottobre al 12 dicembre del 2020.
Perché avete scelto di organizzare la scuola nelle Marche e non, magari, a Milano o Roma?
Io e il fotografo Giovanni Marrozzini, che siamo i fondatori della scuola, viaggiamo molto ma siamo nati a Fermo, che ha questo nome stanziale, un posto molto bello, sia storicamente che paesaggisticamente, e qui volevamo lasciare memoria del nostro lavoro. Inoltre, abbiamo trovato il sostegno convinto del Comune nei suoi amministratori, quello della Fondazione Carifermo, dell’Ambito territoriale XIII, dei Supermercato Sì e del pastificio Marcozzi, oltre a quelli di Mastercard, la multinazionale delle carte di credito. Credo tra l’altro che in provincia si possa lavorare meglio, soprattutto in un borgo incantevole come Torre di Palme, una frazione di Fermo, affacciato sul mare Adriatico, dove i fuori sede potranno soggiornare grazie a convenzioni stipulate con strutture ricettive locali.
Al termine sono previsti stage o esperienze sul campo?
Alle fine del corso ogni studente sarà seguito da me e Giovanni Marrozzini in un lavoro concreto da fare sul campo, e la Scuola metterà a disposizione 8 borse di lavoro, dove copriremo le spese di viaggio, vitto e alloggio, gli altri saranno stage. Insieme racconteremo la povertà in Italia, alcune filiere agro-alimentari di eccellenza, esperienze di volontariato in carcere, e altre realtà legate soprattutto al sociale.
Gli iscritti, nel 2021, potranno partecipare ad un workshop su un battello sul Rio delle Amazzoni: ce ne parla?
Con una piccola somma aggiuntiva (1.200 euro) solo 10 studenti potranno partecipare a un workshop sul Rio delle Amazzoni in battello, condotto da me e Giovanni Marrozzini, che da 5 anni stiamo lavorando nei paesi della foresta pluviale per un grande reportage che Mondadori manderà in libreria il prossimo anno. Un’esperienza unica dove gli studenti potranno incontrare popoli indigeni minacciati, visitare villaggi, attraversare zone di natura di grande fascino e bellezza.
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